AUDENTES FORTUNA IUVAT

Infinite pianure, risaie, colline, laghi, fiumi, città, paesini dim...
AUDENTES FORTUNA IUVAT - UDOG

Tutto nasce da un cappello. Ebbene sì, un cappello. Bellissimo, fatto su misura per me. E che io non avevo più, per motivi noiosissimi che non mi metto a raccontare ma che chi mi conosce bene sa.

È stato più di un viaggio, è stata una magnifica avventura fatta di infinite pianure, risaie, colline, laghi, fiumi, città, paesini dimenticati da dio, montagne, amici, persone nuove. Io, la mia bici, le mie gambe e la mia testa.

Chiudere un cerchio, significa anche andare oltre. E c’è stato un momento della mia vita in cui ne avevo bisogno, dovevo andare oltre. E perché non farlo nel modo più eclatante possibile? 

Avevo bisogno di partire e di riempirmi gli occhi e il cuore di cose belle, di persone nuove e di esperienze. Di crearmi dei ricordi stupendi.  E fare un viaggio in bici mi sembrava la cosa migliore di tutte. 

Era il meccanismo per far funzionare di nuovo l’ingranaggio. 

C’era solo un piccolo inghippo, io un viaggio in bici mica l’avevo mai fatto. Anzi, per essere più precisa, non è che non avessi mai fatto un viaggio: non avevo mai messo sulle gambe più un centinaio di chilometri, e il massimo che avevo fatto era andare e tornare da Chioggia.

Mi mancava tutto, non solo le borse e l’equipaggiamento tecnico base: mi mancava l’esperienza, i chilometri sulle gambe.

Audentes fortuna iuvat, si dice così giusto? 

E così il 17 giugno 2023, dopo una notte insonne costellata di “pozzobon ma sei sicura di non fare una ca**ata?”, mi chiudo la porta di casa alle spalle e parto. 

Davanti a me circa 450 km attraverso il Veneto, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta. Non sono un’ultracyclist e questo viaggio me lo volevo godere, quindi l’ho diviso in cinque agili tappe.

TAPPA 1. PADOVA - MARCELLISE (VR)

Prima tappa Marcellise, piccolo paesino immerso nelle vigne sulle colline tra San Martino Buon Albergo e Verona. Una tappa fatta di paesaggi familiari, di colline e vigneti. 

In poche ore arrivo a destinazione, una piccola locanda immersa nel verde. Lavo le mie cose, le stendo al caldissimo sole di quel pomeriggio. Ceno mentre faccio due chiacchiere con il proprietario della locanda che, incuriosito dal vedere una ragazza da sola in bici, mi fa mille domande su dove mi porterà  questo viaggio. Sarà la prima di tante persone stupite al mio “si, viaggio da sola.” 

E ora di andare a letto, domani si parte verso Brescia. 

TAPPA 2. MARCELLISE - BRESCIA

Sveglia presto, colazione, sistemo le mie borse, riempio le borracce e saluto il signore che mi lascia un po’ di biscottini in più “il viaggio è lungo, ne avrai sicuramente bisogno. Meglio di quelle schifezze che trovi nei bar di periferia”. Lo ringrazio con un sorriso, piede sul pedale e via in discesa con il vento che mi accarezza il viso. 

Lascio le colline e pian piano si inizia a vedere il traffico della città, attraverso velocemente Verona pedalando di fianco all’Adige e mi dirigo in direzione Lago di Garda, volevo arrivarci presto per evitare il più possibile la congestione di auto di una domenica estiva. Passo Peschiera e scendo verso Sirmione, non un’idea geniale, troppa gente, troppo traffico, troppe macchine: però vedere il lago da lì è stato davvero bello. Mi fermo a mangiare uno di quei biscottini e riparto, fa molto caldo e mi aspettano ancora un bel po’ di chilometri alla meta.  Fra saliscendi vari, arrivo a Brescia in una caldissimo pomeriggio di giugno. Tardo pomeriggio passa a trovarmi un amico, beviamo un paio di birre, mangiamo qualcosa e poi è tempo di andare a letto che il giorno dopo si arriva a Milano.

TAPPA 3. BRESCIA - MILANO

Viste le temperature previste decido di partire con le prime luci dell’alba. 

Oggi mi aspettano grandi campi di grano, grandi ciclabili e una grande grandissima città.  Pochi chilometri ed esco da Brescia  e vengo catapultata in un’Italia che non avevo mai visto, ferma a molti decenni fa. Vecchi bar con le insegne ricoperte dalla polvere e pochi avventori seduti ai tavolini, hotel chiusi, casolari.  Pedalo fra strade di campagna e bellissime ciclabili che costeggiano fiumi, attraverso borghi incantati fino a quando arrivo all’ultimo lungo pezzo della ciclabile della Martesana che mi porterà a Milano. Una ciclabile bellissima, in ordine, scorrevole. Dopo parecchi chilometri inizio a vedere di nuovo segni di una civiltà più moderna, condomini, grattacieli. Komoot mi dice di svoltare a sinistra  e mi trovo catapultata dentro al traffico più caotico che incontrerò in questi giorni, quello di Corso Buenos Aires. Uno shock. Milano non è quello che si dice una città bike friendly, anzi. Tra uno zig zag e l’altro arrivo in fondo ai navigli dove avrei dormito per la notte. Salgo in camera, sistemo le mie cose ed esco. Faccio due passi e vado a bere un paio di cose con un’amica. Quella sera ho conosciuto un sacco di persone che - ancora una volta mi hanno detto “wow che figata che stai facendo sta cosa da sola. Chapeu”. Direi che questa espressione cade proprio a fagiolo. Si è fatta una certa ed è ora di andare. “Facci sapere quando arrivi che vogliamo sapere com’è andata” e io con un sorriso rispondo “certo, vi farò sapere ma per come sta andando fino ad ora sono sicura sarà una figata”. 

TAPPA 4. MILANO - SANTHIÀ

Il penultimo giorno di questo viaggio è il più lungo e, probabilmente il più noioso. La mia bici mi porterà però Santhia. Quel giorno ho deciso di fare una deviazione rispetto al tracciato originario perché i ragazzi di Albaoptics mi hanno detto di passare a salutare, così ci si conosceva di persona. Che dopo essersi sentiti dietro uno schermo è sempre bello vedersi in carne ed ossa. Devo attraversare di nuovo Milano, verso nord. Sincera che ho rischiato la vita più in quei chilometri che in tutto il resto del viaggio. Lasciata alle spalle la metropoli entro nell’hinterland milanese e poco dopo arrivo verso l’headquarter di Alba. Dopo aver fatto un sacco di chiacchiere, rifocillata a dovere e carica come un mulo (grazie ancora per quelle mille lattine di Redbull, mi hanno salvato la vita quel giorno) riparto. 

Un caldo come quello di quel giorno non lo sentivo da tanto, qualche goccia di pioggia poi aveva anche alzato un po’ di umidità ed è stato il primo giorno in cui ho sentito fatica. Uscita dal parco della Valle del Ticino davanti a me solo risaie a perdita d’occhio, per ore ed ore. Poco prima di Vercelli incrocio un padre e una figlia che si stavano allenando in bici, si girano e tornano indietro. “Fino a dove devi arrivare?” “Eh fino a Santhià, è ancora lunga” “Dai, per un po’ ti tagliamo l’aria così fai un po’ meno fatica”. Mi fanno compagnia per una quindicina di chilometri poi, augurandomi in bocca al lupo per il mio viaggio, aumentano il loro passo e si allontanano.  Tra Vercelli e la fine mi aspetta un drittone di circa 20 km, che si concludono con una non poco piacevole scalinata per attraversare il sovrappasso della stazione dei treni di Santhià. Esausta, arrivo al mio albergo, mi siedo al tavolino del mio albergo  e poi - dopo aver lavato e sistemato le mie cose - crollo a letto. 

Al mio risveglio vado a fare due passi per il paese, noto per essere una tappa della Via Francigena, e poi rientro in albergo per la cena. Ci sono un sacco di pellegrini, o viandanti come li chiama mio padre. Scambio qualche parola con loro ma non vedo l’ora di andare a dormire. Domani è l’ultima tappa di questo viaggio e voglio essere riposata. 

TAPPA 4. SANTHIÀ - MONTJOVET

La strada verso Montjovet la conoscevo già, pochi anni prima l’avevo fatta a piedi in senso contrario percorrendo la Francigena. Salgo in bici e sento una sensazione di leggerezza che mi farà compagnia per tutto il viaggio. I chilometri scorrono veloci sotto le mie gambe e ad un certo punto alzo la testa e boom, inizio a vedere le montagne. Manca poco alla fine. A Pont Saint Martin entro ufficialmente nell’ultima regione di questo viaggio, la Valle d’Aosta e il sorriso inizia a diventare sempre più grande. Mi fermo su un ponte proprio di  fronte al forte di Bard, un'imponente costruzione che sovrasta la Dora Baltea e mi ferma una signora che aveva in mano un bellissimo mazzo di Ortensie fucsia. Incuriosita mi chiede del mio viaggio, da dove vengo, perché lo sto facendo. E’ una lunga e noiosa storia signora, ma serviva a chiudere un cerchio. Mi regala una bellissima ortensia e me la mette nella mia borsa dietro la sella. “Mi raccomando, faccia attenzione che è delicata. Le auguro tanta fortuna signorina”.  L’abbraccio e riparto. 

Montjovet, km. 454. Sono arrivata a destinazione. Scoppio a piangere di felicità per avercela fatta, chiamo i miei genitori e lo scrivo a tutte le mie amiche. 

Arriva René a recuperarmi e mi da una pacca sulla spalle, grande che ce l’hai fatta. Poi arriva anche Giovanna, sua moglie. Brindiamo con una birra gelida e mi offrono una doccia. Rimetto per l’ultima volta di questo viaggio tutte le mie cose dentro la borsa e vado finalmente a provarmi il cappello per cui avevo pedalato fino a lì. Mi fa una foto e scherzando dice “ora tutti quelli che devono prendersi un cappello se lo devono venire a recuperare in bici. Hai alzato l’asticella Pozzobon”. 

Divoro la carbonara che mi avevano fatto, carichiamo la bici e andiamo ad Aosta dove ci aspetta un amico in comune che mi avrebbe ospitato per la notte. Arriviamo in città, quel giorno era il World Skate day e bisogna festeggiare il mio viaggio. 

A chi ho raccontato la vera motivazione di questo viaggio mi ha risposto che non poteva esserci modo migliore per recuperarlo. 

Quella sera facciamo molto tardi, tra una chiacchiera, una birra, una chiacchiera e un altro drink si va a letto. L’indomani mi catapulto giù dal letto e ancora un po’ frastornata dall’alcool e dalle emozioni del giorno prima, corro a prendere il bus che mi porterà a Padova. Circa sei ore dopo sono seduta sul divano di casa mia guardando la mia bici come cinque giorni prima.

Cinque giorni che mi sono sembrati un’eternità. Sembrerà una cosa stupida, ma le ho dato una carezza e le ho detto grazie per avercela fatta, grazie per avermelo fatto fare. 

Dal divano su cui ero seduta in ansia pochi giorni prima mi son detta che ero partita con la voglia di riempirmi gli occhi e il cuore di cose belle e che ora, con un po’ di sana  e dovuta arroganza, posso dire di essere riuscita nello scopo che mi ero prefissata. 

Cazzo che figata di viaggio è stato.

PADOVA - MONTJOVET 454KM

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